Tornare a casa è terribile,
che i cani ti lecchino la faccio o no;
È seduta sulla sedia di vimini della hall mentre la notte appesantisce i tetti. Continua a leggere
Quando ero piccolo mi prendevano in giro perché non sapevo leggere l’orologio. Nel quadrante, tra un numero e l’altro, c’era uno spazio (e un tempo) infinito che non riuscivo a decifrare attraverso la semplice posizione delle lancette. Non riuscivo a concepirne l’approssimazione.
Ad ogni risveglio, il mattino – un risveglio riluttante e che si potrebbe definire pigro – il signore inizia con un rapido inventario del mondo. Da tempo si è accorto che ogni volta si sveglia in un punto diverso del cosmo, anche se la terra che è suo abitacolo non appare estrinsecamente mutata. Da bambino, egli si era persuaso che, nei moti attraverso lo spazio, la terra passa talora nei pressi o addirittura all’interno dell’inferno, mentre non le è mai concesso di passare all’interno del paradiso, perché tale esperienza renderebbe impossibile, superflua, irrisoria, ogni ulteriore prosecuzione del mondo.
Poiché discendevo i Fiumi impassibili,
mi sentii non più guidato dai bardotti:
Pellirossa urlanti li avevan presi per bersaglio
e inchiodati nudi a pali variopinti.
Ero indifferente a tutti gli equipaggi,
portatore di grano fiammingo e cotone inglese
Quándo coi miei bardotti finirono i clamori
i Fiumi mi lasciarono discendere dove volevo.
Giaci nelle mie braccia insonni,
come se avessi bevuto il sonno come caffè.
Poi,
come un orso che rovescia un alveare in cerca di miele,
scuoti il cuscino alla ricerca delle sigarette francesi.
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