Da quando è iniziata la quarantena Flavio e Flavia si addormentano sempre nello stesso istante.
Da quando è iniziata la quarantena Flavio e Flavia si addormentano sempre nello stesso istante.
Se ne stava sul ciglio della strada insudiciata. Era vecchia, puzzava di piscio e a malapena si distingueva dalla montagna di stracci abbandonati che le erano accanto.
Tremava il sole, tremava l’orizzonte distorcendosi in una linea a zig zag, tremava la piccola barca di legno che scorrendo faceva rabbrividire l’acqua: per Salvatore, il pescatore di Lampedusa che il Parkinson aveva preso molti anni fa e non mollava più, i giorni tremavano come scossi da una paura di cui si ignora la causa.
Iniziava così la mia solita giornata di lavoro alla stazione Termini, tra il puzzo di asfalto rovente e il piscio di qualche vagabondo che defluiva sulla strada come la lacrima di uno sconosciuto. In principio mi posizionavo all’entrata, davanti allo sciame di taxi che ronzava impazzito: il sole era allo zenit e io e il mio collega boccheggiavamo sotto la divisa; si faticava anche a parlare e la nostra comunicazione si limitava a un complice scambio di sguardi per qualche bella ragazza che filava tra la massa.
Il cielo è pulito, l’aria è secca, il respiro pesante. Cammino non so da quanto sotto un Sole che non riesce a scaldarmi, accecato da una luce che la neve riflette dappertutto. Vado avanti ancora per un po’ e poi decido di fermarmi. Sollevo una mano per schermarmi il viso e cercare di capirci qualcosa e mi accorgo di essere sul bordo di un’enorme distesa di ghiaccio: si estende per decine di metri, forse chilometri, è un lago gelato durante l’inverno.
Il carretto dei pony va tra i viali fioriti del parco, nell’arsura di mezzogiorno, uno smunto lo guida in silenzio. I suoi occhi neri ruotano nel vuoto delle orbite mentre il carretto va, senza nessun altro a bordo, come un cieco tra i prati verdeggianti.
Aprile inondava le strade di gialle cascate di pollini e il Sole scaldava i cassonetti stracolmi d’immondizia che cominciavano a esalare i loro primi fetori. Iris passeggiava e a causa dell’allergia primaverile le scorrevano due lacrime sottili dagli occhi: le attraversavano il viso, incontrandone gli zigomi incavati e le labbra assottigliate dal tempo, poi sparivano assorbite dalla pelle secca e rugosa.
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L’isola galleggiava nell’oceano come sospesa in un sogno, una notte senza luna la accerchiava e un puntino di luce brillava sul suo lato est, era il set che la troupe televisiva stava allestendo per il nuovo collegamento. Il proiettore tagliava in due l’oscurità che si annidava sul bordo del potente fascio di luce in attesa di riappropriarsi dello spazio che le era stato strappato, e uno fitto sciame di insetti di vario genere gli girava attorno, come ipnotizzato, generando un costante crepitìo di piccoli corpi che si schiantavano impazziti.
La casa era grande, una vecchia libreria in massello ne rivestiva le pareti come la pelle grinzosa di un corpo decrepito. Col tempo il legno aveva perso lucentezza e la polvere si era depositata sui libri che si affastellavano sugli scaffali.
Era una barcaccia, la vernice della sponda aveva preso lo stesso colore del fango sui cui era stata abbandonata per anni, ma filava veloce sul fiume in direzione del sole.
Il cielo era dello stesso bianco smorto delle pareti, gravido di una pioggia che quel giorno non sarebbe mai caduta. Romano come sempre respirava a fatica per via dell’aria appesantita dalle polveri di pietra e la sua bottega, con quel suo aspetto così asettico, sembrava un obitorio dove ogni giorno un po’ di lui moriva ma dove nascevano opere che lo avevano reso famoso in tutta la città.
Un lui e una lei in un locale colmo di gente. Come un sasso gettato in uno stagno, la musica fa vibrare la sala che fa vibrare un tavolino che fa vibrare un solitario bicchiere di vodka. Ignari l’uno dell’altra, i due stanno seduti a una certa distanza: lui è distratto, i suoi pensieri scivolano via come le gocce di sudore che gli inumidiscono la fronte; anche lei è distratta, la sua attenzione è rotta continuamente dai quattro quarti della cassa. Intanto nel solitario bicchiere di vodka galleggiano due cubetti di ghiaccio, chiusi in due geometriche solitudini.
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