Ghiaccio - La Scatola Nera - Blog letterario

Il cielo è pulito, l’aria è secca, il respiro pesante. Cammino non so da quanto sotto un Sole che non riesce a scaldarmi, accecato da una luce che la neve riflette dappertutto. Vado avanti ancora per un po’ e poi decido di fermarmi. Sollevo una mano per schermarmi il viso e cercare di capirci qualcosa e mi accorgo di essere sul bordo di un’enorme distesa di ghiaccio: si estende per decine di metri, forse chilometri, è un lago gelato durante l’inverno.

Ne tasto con un piede la superficie, la temperatura è abbastanza rigida, reggerà il mio peso. Decido allora di avanzare – mi attrae l’idea di camminare su qualcosa di instabile come l’acqua, la consapevolezza che ci sia soltanto qualche centimetro di fragile ghiaccio tra me e quell’immenso e liquido anonimato. C’è qualcosa di divino in tutto questo, l’eternità che si beffa del caduco.
Ho raggiunto più o meno il centro del lago, mi fermo per riprendere fiato e rimuovere la leggera brina che mi imbianca la barba quando il ghiaccio sotto di me comincia a scricchiolare, come le ossa malandate di un vecchio: in un istante una crepa sottile serpeggia sulla superficie come una ferita, il ghiaccio si spezza e piombo giù. L’acqua gelida mi riempie i polmoni, i respiri diventano affanni, il battito del cuore rallenta, il sangue comincia a rapprendersi nelle vene; la luce filtra attenuata e la vista si appanna, comincio a perdere la sensibilità degli arti, l’orientamento, i pensieri sembrano diluirsi e poi sciogliersi, perdo conoscenza… il nulla.

Ora la crepa si è richiusa, il silenzio si è ripreso il lago e il mio corpo giace perfettamente intatto sotto quel sottile strato di ghiaccio, eternato dall’acqua gelida come un insetto dall’ambra, adagiato sul fondo in un sonno immortale e senza sogni. E ho soltanto questo ricordo, nient’altro che queste parole precise, nette come cristalli, echi di qualcosa di più vasto che non riesco a ricordare.

© Rodolfo Veneziani

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