Il Tevere scorreva nella città come il sangue infetto di un malato agonizzante. Giallo come l’epatite, ad ogni dislivello sussultava in rapide convulsioni per poi riprendere il suo fatale corso verso il mare. C’erano i topi che rodevano una lamiera abbandonata sulla riva e sembrava che non vedessero l’ora di gettarsi sul malato per spolparlo fino alle ossa, poi c’erano gli alberi sradicati che galleggiavano come cadaveri gonfi per l’acqua assorbita, il marmo annerito degli argini e dei ponti logoro come le ossa di un vecchio, e infine lo sguardo di quegli angeli di pietra, un po’ pietosi un po’ beffardi. Ma ciò che mi stupiva di più in tutto quell’immenso spettacolo di putrefazione era la foga, la tenacia con cui il moribondo, tentando di resistere alla morte, in realtà vi andava in contro facilitandone il compito.
© Rodolfo Veneziani – Photo by © Lorina Zeka
Seguimi su Facebook