Un lui e una lei in un locale colmo di gente. Come un sasso gettato in uno stagno, la musica fa vibrare la sala che fa vibrare un tavolino che fa vibrare un solitario bicchiere di vodka. Ignari l’uno dell’altra, i due stanno seduti a una certa distanza: lui è distratto, i suoi pensieri scivolano via come le gocce di sudore che gli inumidiscono la fronte; anche lei è distratta, la sua attenzione è rotta continuamente dai quattro quarti della cassa. Intanto nel solitario bicchiere di vodka galleggiano due cubetti di ghiaccio, chiusi in due geometriche solitudini.
A un certo punto lo sguardo di lui incrocia per caso quello dei lei, poi quello di lei incrocia quello di lui ma questa volta non per caso; occhiate vaghe lanciate da un’attrazione reciproca per nulla vaga, i due non parlano, restano immobili e immersi nella formaldeide delle esitazioni, degli egotismi, delle paure. La gente si riversa a ondate, la temperatura aumenta e i due cubetti di ghiaccio iniziano a rimpicciolirsi nel bicchiere. Ora lei sembra decisa, lui sta per venirle incontro, ma poi il sudore comincia a scivolare più veloce, la cassa a farsi più assordante e la gente a fluire più confusamente e allora i due decidono di rimanere lì, per sempre immobili, seduti a una certa distanza. Nel solitario bicchiere di vodka non rimane nulla dei due cubetti di ghiaccio, poi una donna si avvicina lo afferra e se lo scola: l’impronta rossa delle sue labbra si stampa sull’orlo del bicchiere e sembra quel bacio che i due si sarebbero potuti dare e che non si diedero mai.
© Rodolfo Veneziani
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