La casa era grande, una vecchia libreria in massello ne rivestiva le pareti come la pelle grinzosa di un corpo decrepito. Col tempo il legno aveva perso lucentezza e la polvere si era depositata sui libri che si affastellavano sugli scaffali.
I libri… ce n’erano a migliaia, piccoli, grandi, grassi, magri, in verticale e in orizzontale, uno schiacciato sull’altro a riempire ogni vuoto; alcuni avevano l’immagine del loro autore sul dorso e sembravano i loculi nel cimitero di un’antica metropoli. Dorso, testa, piede, unghie, addirittura nervi, Gabriele era sempre stato affascinato dai nomi che indicavano le varie parti di un libro, quasi questo fosse un essere vivente con magari anche un cuore nascosto tra tutto quell’inchiostro.
Quella fredda domenica Gabriele si era svegliato e non aveva trovato nessuno in casa – suo padre, un noto scrittore, come al solito non c’era – e adesso era in salotto, rannicchiato nel divano a sfogliare avidamente qualcuno di quei volumi, in cerca di qualcosa che neanche lui sapeva. Ad un certo punto vide una vecchia Bibbia posta su uno scaffale in alto, allora si allungò e con un po’ di difficoltà la prese: le dita infreddolite scorrevano a fatica sulle pagine ruvide e un odore di carta stantia gli pizzicava il naso. Gabriele continuò a sfogliarla fin quando raggiunse un versetto del Nuovo Testamento in cui si accennava a Giuseppe, il padre putativo di Gesù. In quel libro si parlava sempre dell’altro Padre, quello che dall’alto dei cieli e attraverso una parola aveva creato il mondo, ma del falegname Giuseppe si diceva ben poco: di come faticava sul legno, di come sanguinavano le sue mani quando il lavoro si faceva duro e degli oggetti a cui dava forma non si sapeva nulla.
Poi la sua lettura fu interrotta da un cocente raggio di sole che era filtrato dalle imposte, aveva attraversato la semioscurità del salotto e ora tagliava in due la pagina che stava leggendo. Gabriele osservava con attenzione la sottile striscia di luce sulla carta, poi il pulviscolo che fluttuava leggero nel raggio, ed ebbe un’illuminazione: si alzò di scatto e cominciò a strappare i volumi dagli scaffali, ne prendeva a decine e li gettava a terra. Continuò per un po’ fin quando un bel mucchio si formò al centro della stanza e sulla cima vi pose la vecchia Bibbia. Allora andò in cucina, prese una bottiglia di alcol etilico e una scatola di fiammiferi e tornò di fretta in salotto; versò tutto il contenuto della bottiglia sul mucchio di libri, accese il fiammifero, ve lo gettò sopra e immediatamente il mucchio prese fuoco. L’inchiostro si scioglieva e colava come sangue nero mentre il rogo cominciava ad affumicare la libreria, diffondendo un forte odore di legna e carta bruciati. Gabriele allora si lasciò andare di nuovo sul divano e si mise a fissare le fiamme che lo stavano avvolgendo: forse era questo ciò che cercava, forse era lì, nel caldo cuore di una vecchia libreria in fiamme, a pulsare tra il fumo e le ceneri di una grande casa.
© Rodolfo Veneziani
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